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Interview

“L’idea di ‘universo sonoro’ rinvia non solo all’immagine poetica di un’infinità e molteplicità di suoni e espressioni sonore, ma anche alle diverse realtà musicali, le diverse personalità artistiche qui variamente rappresentate” scrive Federica Nardacci, andando a sondare aspetti meno noti della carriera e dell’opera di personaggi quali Ennio Morricone, Giorgio Gaslini, Paolo Cavallone; mentre per Anna Laura Longo, che incontra, tra gli altri, Denis Schuler, Silvia Lanzalone e Daniele Corsi,  “ciò che si offre ai lettori è un lavoro frutto di interscambi, un vero e proprio flusso di confronti e dialoghi orbitanti intorno alle problematiche ed alle questioni ‘vive’ che recano segni vistosi del presente musicale.”

(in AA. VV. Nuove Tendenze Edizioni, Lucca 2015)

Di Federica Nardacci

Paolo Cavallone è compositore sensibilmente attento alla ricerca: la sua musica, che qualcuno ha definito “affascinante e complessa”, è il risultato di una profonda consapevolezza tecnica messa a disposizione di un pensiero, che i suoni tendono a significare. La letteratura, la poesia, infine, intervengono spesso come elementi sostanziali nell’intera struttura musicale.

Il compositore abruzzese viene spesso invitato a tenere conferenze sulla sua musica (alla Manhattan School of Music di New York, per esempio, come alla McMaster University di Hamilton, in Canada) e importanti istituzioni ed artisti gli commissionano opere: è il caso di Hóros, un concerto per flauto, eseguito nel 2012 dal noto flautista Roberto Fabbriciani e lo Stroma Ensemble, sotto la direzione di Hamish McKeich, in Nuova Zelanda – dove peraltro Cavallone ha insegnato come Professore in Visita di Composizione e Orchestrazione.

Si diceva della ricerca musicale che Cavallone compie e che non trova il suo limite nella tecnica compositiva, propriamente detta. Ebbene, è un pensiero, il suo, che ricerca un’immagine, un suono, un’emozione; la struttura – come lui stesso dichiara – viene costruendosi pian piano; è come se ogni fase della composizione venisse nutrita dalla precedente. Potremmo assimilarlo quasi alla meticolosità di un pittore impegnato nella ricerca del giusto colore attraverso i vari impasti

cromatici; sembra intenderlo proprio così, Cavallone, il lavoro del compositore; qualcuno ha voluto riconoscerlo nelle sue opere parlando di ricchezza timbrica nell’ orchestrazione e definendolo per questo una sorta di pronipote di Ravel.

In effetti, l’evocazione di Ravel emerge evidente in Confini: «Non c’è volontà di imitare Ravel o Debussy; questi autori sono una eco, una memoria. Quello di cui avevo bisogno era un materiale vario, per una lettura aperta a più prospettive. Il materiale semplice usato in apertura si arricchisce attraverso le proliferazioni che gli stessi gesti musicali permettono».

A proposito della struttura che viene a crearsi quasi a posteriori rispetto all’idea originaria del compositore, chiediamo quale definizione possa essere usata per Confini: «L’idea originale era la scrittura di una sonata, un pezzo per pianoforte. Ho impiegato ben due anni per portarlo a termine: da pianista non avevo mai osato scrivere un pezzo per pianoforte, guardando con timore ai colossi del passato. La maturazione è stata lenta. Dietro c’è lo sforzo di immaginare un pezzo per piano nel nostro tempo, nel XXI secolo, con i suoi ritmi, le sue dimensioni, il suo essere “senza confini”. Da un punto di vista storico, anche la sonata classica nasce da un confronto con la realtà e ne rispecchia strutturalmente le sembianze. La sonata moderna dovrebbe rispecchiare a sua volta quella realtà caleidoscopica del mondo d’oggi, fatto di poliedricità ideologica, multietnicità. Da qui la compresenza nella mia composizione di materiali diversi; non ho posto alcun limite alle scelte stilistiche che potevano intervenire nel corso del lavoro. In linea di massima, se la musica va verso una direzione, io la accolgo. Nel caso specifico di Confini, gli echi di Debussy e Ravel, cui si faceva riferimento, sono seguiti da quelli di Scarlatti, Piazzolla, dal flamenco al tango… Ecco, anche la gestualità riferita alla danza trovo sia fondamentale».

Il ritmo interviene come uno degli elementi preponderanti nella composizione di Cavallone, assottigliando in questo modo anche i confini corporei tra l’interprete e la musica stessa:

«è un confine sottile quello tra la percezione del suono e dei gesti, che entrano in ambiti interiori, assolutamente misteriosi. Confini tra vari approcci o prospettive compositive. In fondo questa è l’idea sottesa in molti miei lavori che portano titoli come Confronto, per esempio, o Porte». L’idea del confine che separa due elementi contrastanti è quindi una delle peculiarita’ che connota la natura delle sue composizioni: «sì, ma un po’ come in Alba di Rimbaud, in cui si vive il trapasso dalla

notte al giorno. La vita stessa è così, antropologicamente, una sorta di continuo passaggio».
I riferimenti letterari costituiscono un altro elemento distintivo dell’ opera di Cavallone, egli stesso poeta: «La poesia è una parte della mia creatività e rientra nella poliedricità del mio approccio compositivo. Qualcuno l’ ha definita crossing poetry, poetica dell’attraversamento. Ho iniziato a scrivere quasi vent’anni fa per una mia necessità e in alcuni casi ho utilizzato le poesie all’interno di mie composizioni. Come in apertura di Hóros, per esempio, dove con alcuni versi propongo una immagine di distanza fra noi e l’ oggetto interiore e musicale. In questo caso particolare, la poesia è parte integrante della composizione che altrimenti sarebbe monca. Il mio essere poeta si riferisce all’incontro dell’animo poeta con la tecnica di scrittura, da cui non si può prescindere. Non esprimo, con questo, alcun giudizio estetico sulla mia produzione poetica».

Oltre ad una produzione letteraria propria, Cavallone attinge a piene mani al grande patrimonio letterario che la storia ci ha consegnato, lasciandosi ispirare dalle figure e dalle immagini poetiche che più corrispondono naturalmente al suo pensiero. È il caso di Mercutio, quartetto d’archi dedicato alla figura shakespeariana apparentemente secondaria nel dramma di Romeo e Giulietta, ma che in realtà – sostiene Cavallone – contiene in sé tutte le tensioni del dramma.

«Mercutio è amico di Romeo e muore anticipando la tragedia. Il suo monologo sembra un momento di divagazione dalle trame emotive del dramma. In realta’, contiene tutti gli elementi della tragedia che sta per consumarsi. Una sorta di descrizione altra dell’ineluttabilita’ degli eventi. Mercutio, inoltre, evoca la regina Mab che nella tradizione celtica rappresenta un’ entità nell’ equinozio di primavera, ovvero, ancora il passaggio da una stagione all’altra. La stessa Mab viene descritta sia come elemento di luce, sia di tenenbra.

Sono forse la compresenza di elementi tanto diversificati a creare il senso di smarrimento, di confusione? «In realtà le varie possibilità sono complementari; c’ è sempre un elemento in comune. Gli elementi eterogenei si possono accostare e generare una forma unitaria. Sono interessato alla possibilita’ come elemento trascendente e, come dice Abbagnano, trascendentale in una visione positiva dei vari colori che il mondo di oggi ci presenta.

C’è un monumento nel paese in cui sono nato, a Sulmona, il complesso dell’ Annunziata, che ha

subìto diversi crolli nella storia a causa di terremoti. Di volta in volta è stato ricostruito nello stile delle varie epoche; così, quel che vediamo oggi è il risultato di elementi trecenteschi, quattrocenteschi… il campanile è rinascimentale, la chiesa barocca. Eppure, nel suo complesso, è un’ opera bellissima; un miracolo architettonico incantevole».

La metafora della stratificazione di stili architettonici corrisponde a una prassi compositiva, quella della commistione di stili, che Cavallone non disdegna. «Il fatto che esista qualcosa di più leggero o se vogliamo di meno impegnato rispetto a un Beethoven, non vuol dire che non debba essere preso in considerazione. Magari lo si rilegge dalla prospettiva – mi permetto di dire – più profonda del musicista classico».

Qual è, dunque, il punto di partenza di una sua composizione? «L ’ idea nasce in realtà dall’immagine che ho della persona, dell’artista per cui scrivo, a cui la composizione sarà destinata. Parto dalla sua gestualità, dalle sue sensibilità artistiche. Le tecniche usate possono quindi essere delle più varie e possono cambiare all’ interno della composizione stessa. In ogni caso, tutto è in funzione della creazione della giusta sonorità. All’inizio del mio lavoro metto sul tavolo una serie di idee musicali che poi assemblerò, scartando o aggiungendone di nuove».

Un vero lavoro sartoriale, potremmo dire. Una musica creata su misura rispettando le sinuosità, limando le spigolature ed esaltando quanto c’è di meglio nell’artista. Il rapporto con l’interprete diventa quindi un aspetto di un certo rilievo. In questo modo non viene a crearsi, ci chiediamo, un senso di dipendenza dal compositore e dalle sue aspettative? «La libertà dell’interprete non viene messa in discussione. Solo, c’è l’opportunità di chiarire le intenzioni della scrittura. Una delle mie principali interpreti, Catarina Leite Domenici, ha scritto un interessante articolo, pubblicato in Brasile e in Portogallo (e in corso di pubblicazione in Italia) proprio su questo rapporto di collaborazione relativamente a Confini».

In conclusione un ultimo ossimoro che suggella il ritratto artistico di Paolo Cavallone il quale, a dispetto della sua profusione alla contemporaneità, si definisce un “uomo medievale”: in che senso? «La mia è una libertà nei confronti della tradizione dalla quale non mi sento limitato. Medievale nel senso di una spiritualità che viene dagli affreschi delle chiese sparse fra le montagne del mio Abruzzo. Medievale nell’amore per la cultura».

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