La piega e il taglio

“Nel XX secolo, la storia del far musica – ovvero… storia dell’organizzare umanamente il suono – ha aggregato al suo dominio, e in particolare a quel determinato dominio dell’organizzazione intenzionata che le convenzioni definiscono ‘composizione’, anche un pensiero prima apparentemente impraticato, etichettabile intrasonico: non solo – e in certi casi non più – comporre i suoni, ma comporre il suono, nelle sue strutture fisiche interne e nella loro proiezione nel tempo… I due aspetti, nel posizionamento estetico e nella concreta prassi dei compositori, negli ultimi decenni non si sono solo guardati in cagnesco, ma piuttosto si sono relazionati in rapporti di varia tipologia: dinamica complementarietà, intuita più o meno coscientemente anche nelle figure opposte e radicali nella scelta di campo (si prendano, nel panorama italiano, uno Scelsi e un Donatoni); integrazione alle fondamenta della poetica, senza la necessità – ma con la possibilità – di fissioni `{`crono`}`logiche a monte o valle dei singoli percorsi compositivi (Nono, Ligeti, Xenakis); funzione ecdotica del ripensare status e processo d’intenzionamento (Cage…). Col progressivo riconoscere il distinguersi storico ed estetico delle due posizioni, e con l’avvicendarsi delle generazioni, sembra infine delinearsi un’ulteriore opzione che – dialetticamente, verrebbe da dire senza cautela – le supera: comporre il suono e comporre i suoni si disporrebbero in uno spazio tecnico-ideativo esplorabile, liberamente, tanto sull’asse spaziale/sistematico delle equivalenze, quanto su quello sintagmatico – per non dire di nuovo, oggi, ‘narrativo’ – delle successioni. Di tale chance la musica di Paolo Cavallone costituisce, a mio avviso, una promessa, ben individuata negli ultimi numeri del suo catalogo attuale, nel quale, si pone come snodo ed accensione problematica il brano Contrasto, per quartetto d’archi (1999)… Attraversare fasi di scrittura in cui si compone il suono nella sua complessità interna, ovvero – come Scelsi la definiva – sferica, scavando entro le sue pieghe timbriche e dinamiche, nei suoi intorni microintervallari, nelle sue proiezioni nello spazio frequenziale e temporale, e poi si compongono i suoni, in relazioni non più tematiche, ma cellulari, figurali… ; per Cavallone, l’intervallo stretto, minimo, di semitono, uno dei confini – nel sistema temperato – tra il suono uguale a sé e il suono altro da sé, può essere il ‘gesto’ generatore di altre maglie intervallari, della tramatura dinamica delle superfici sonore, fin dell’intera forma: «Si coglie la ‘metafora’ di un andamento e lo si proietta sull’organizzazione… è il gesto che genera il movimento», inteso dall’autore non solo come dinamica delle superfici sonore, ma anche – seguendo Hanslick – dinamica relazionale-astratta dell’espressione, e persino dinamica del confronto con l’extramusicale, con un ‘altro-dal-suono’ che non riguarda più il rumore, ma tocca le motivazioni più nascoste dell’intenzionarsi dei suoni… espressivo di una poetica dell’attraversamento, praticata nella relazione del suono con la sua idea e delle relazioni sonore che costruiscono il brano: «…le possibili visioni dalle più diverse angolazioni – le porte astratte e necessarie – dell’unico gesto interiore e musicale…”

Alessandro Mastropietro
Suono Sonda
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